Sex Pistols

I Sex Pistols rappresentano una delle forze più esplosive e iconoclaste nella storia della musica rock

Introduzione

I Sex Pistols rappresentano una delle forze più esplosive e iconoclaste nella storia della musica rock e, in particolare, nel movimento punk rock. Attivi principalmente tra il 1975 e il 1978, questi quattro ragazzi londinesi – guidati dal carismatico e provocatore vocalist Johnny Rotten (vero nome John Lydon), insieme al chitarrista Steve Jones, al batterista Paul Cook e inizialmente al bassista Glen Matlock (sostituito nel 1977 da Sid Vicious) – sconvolsero il panorama musicale britannico e mondiale con un insieme di musica rudimentale, testi aggressivi, un atteggiamento di totale disillusione verso il sistema e un’estetica volutamente trasandata e “anti-modello”. Pur avendo una discografia ufficiale molto contenuta (un unico album in studio, Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols, più qualche singolo e un live ufficiale), l’impatto culturale dei Sex Pistols fu straordinario: contribuirono a definire i principi fondamentali del punk, ispirarono un’ondata di band in tutta Europa e negli Stati Uniti, e lasciarono una traccia indelebile nel modo di concepire la ribellione giovanile, l’anticonsumismo e l’anti-commercialismo. Questo articolo si propone di ripercorrere la storia dei Sex Pistols, il contesto socio-culturale in cui emersero, le vicende umane dietro i membri della band, le dinamiche interne, la produzione musicale, le controversie e scandali, la fine del gruppo, il percorso successivo dei singoli membri e l’eredità che lasciarono nel mondo della musica e oltre.

 

1. Contesto socio‐culturale dell’Inghilterra a metà anni ’70

 

Per comprendere appieno la portata rivoluzionaria dei Sex Pistols, è cruciale considerare il contesto socio‐economico e culturale dell’Inghilterra a metà anni ’70. Dopo la liberazione dal nazifascismo e il riformismo sociale del dopoguerra, la Gran Bretagna entra negli anni ’70 con problemi economici sempre più acuti: inflazione elevata, disoccupazione in aumento, scioperi di massa, e tensioni sociali crescenti tra classi popolari. Londra in particolare, pur restando un polo culturale di riferimento, appare segnata da conflitti di classe, degrado urbano e disillusione nei confronti dei partiti tradizionali (Labour e Conservative), percepiti come incapaci di risolvere le emergenze sociali. In questo clima, i giovani delle zone periferiche, soprattutto quelli delle working‐class, spesso rifuggivano l’istruzione superiore o il lavoro stabile, mostrando insofferenza verso un modello di società ritenuto obsoleto, ipocrita e marcio.

A livello musicale, l’Inghilterra stava vivendo la cosiddetta “branditura” del rock progressivo: band come i Pink Floyd, i Yes, i Genesis, i Jethro Tull dominavano le classifiche, proponendo brani di lunga durata, arrangiamenti complessi e sonorità spesso orientate al virtuosismo. Questi gruppi godevano soprattutto dell’attenzione della middle class intellettuale, mentre le periferie operaie vedevano lontane le istanze di quegli artisti, percepite come snob e distanti dalla realtà quotidiana. Per molti giovani, il rock progressivo era sinonimo di eccessiva tecnica, lungaggini inutili, e testi astratti, poco affini alle urgenze di un’esistenza spesso segnata dalla precarietà e dalla disperazione. Contestualmente, all’inizio degli anni ’70 era esplosa la scena glam (con David Bowie, T. Rex, Roxy Music), che mise in primo piano l’estetica, il travestitismo e una sorta di kitsch teatrale, ma anche questa corrente veniva percepita come troppo edonistica, incline a eccessi eccessivamente compiaciuti.

In questo scenario, la nascita del punk rappresentò una reazione improvvisa e violenta: un ritorno all’essenziale, all’energia primitiva del rock’n’roll di fine anni ’50 e inizio anni ’60, testi diretti, rabbiosi, spesso caratterizzati da una satira feroce nei confronti delle istituzioni. A Londra, intorno alla metà del decennio, cominciarono a fiorire piccoli club (come il 100 Club a Oxford Street), fanzine autoprodotte (ad esempio Sniffin’ Glue) e un fermento di giovanissimi che recuperavano vecchi strumenti, suonando con tre accordi e un’urgenza espressiva mai vista. Tra le prime band inglesi a farsi notare ci furono i The Damned, i The Clash e i Buzzcocks a Manchester, ma nessuna aveva ancora raggiunto l’onda culturale e mediatica che avrebbe travolto l’intero Paese. Fu in questo contesto di rabbia, disillusione e desiderio di rottura che emersero i Sex Pistols, destinati a diventare (anche loro in breve tempo) uno dei simboli più controversi e celebrati del punk.

 

2. Formazione della band: i protagonisti

 

2.1 Johnny Rotten (John Lydon)

Nato a Londra nel 1956 da genitori di origine irlandese, John Joseph Lydon trascorse l’infanzia tra l’Inghilterra e l’Irlanda, sperimentando fin da piccolo un forte senso di alienazione. In un’intervista del 1978, Lydon dichiarò di essersi sentito sempre “diverso” rispetto ai suoi coetanei, di vivere in un ambiente familiare teso (il padre era tornato in Irlanda per un periodo, mentre lui rimase con la madre a Londra) e di aver subito bullismo per via del suo accento e del suo aspetto. Queste esperienze contribuirono a sviluppare in lui un carattere determinato, ribelle e incline alla satira corrosiva. Durante l’adolescenza, John coltivò la passione per la musica rock e rhythm & blues, ma si annoiava profondamente davanti ai concerti di band progressive, giudicando quei musicisti “come macchine che suonavano cose infinite”. Quando sentì parlare per la prima volta di una nuova realtà chiamata “Sex Pistols” (un nome provocatorio già di per sé, con esplicite allusioni sessuali), decise di presentarsi ai provini suonando il brano “My Way” di Frank Sinatra, alterandolo con versi irridenti (“And now the end is near / And you can kiss my ass goodbye!”). McLaren, colpito da quell’atteggiamento oltraggioso, lo assunse immediatamente come frontman. Nazionalmente, Johnny Rotten (come presto si fece chiamare) divenne la voce della rabbia generazionale: occhi sporgenti, dentatura sporgente, espressione perennemente sprezzante, abbigliamento “sfatto” – giacche in pelle decorate a mano, catene, spille; capelli scomposti o “alla moicana”. La sua figura era talmente iconica da entrare subito nell’immaginario collettivo punk.

2.2 Steve Jones

Steve Jones nacque nel 1955 a Shepherd’s Bush, uno dei quartieri più popolari di Londra. Cresciuto in un ambiente proletario, fin da bambino mostrò grande attitudine per la musica: a 15 anni si procurò la prima chitarra, imparando da autodidatta a suonare gli accordi di base. Da adolescente, frequentava concerti di band emergenti, ma rimaneva deluso dal “suono patinato” delle nuove formazioni rock: quando vide esibirsi per la prima volta i New York Dolls (band glam americana considerata uno dei precursori del punk), capì che quel suono sporco, ruvido, sotterraneo faceva al caso suo. Nel 1975 conobbe Johnny Rotten in un negozio di dischi di Londra e si unirono alla neonata “Sex Pistols” quando Arthur “Guitar” McMahon (chitarrista inizialmente avviato) abbandonò il progetto per divergenze con Malcolm McLaren. Jones divenne il chitarrista principale, definendo lo stile ruvido e minimalista del gruppo: riff semplici, distorsione elevata, ritmo spezzato, quasi militare. Il suo approccio “nudo” alla chitarra (poco ordine nei pedali, bastava il suono grezzo dell’amplificatore) divenne un modello per migliaia di aspiranti musicisti punk, che vedevano in lui l’emblema di uno stile “prendi la chitarra e fai casino”.

2.3 Paul Cook

Paul Cook, nato nel 1956 a Highbury (quartiere del nord di Londra), iniziò a suonare la batteria dopo aver seguito le orme del nonno, appassionato di jazz. A 14 anni era già membro di alcune band scolastiche, mostrando ottime capacità ritmiche e un gusto per il groove semplice ma efficace. Conobbe Steve Jones durante un concerto nei pressi di Camden Town, e i due iniziarono a suonare insieme. Quando Malcolm McLaren cominciò a mettere insieme il progetto “Sex Pistols”, Cook si unì come batterista, instaurando con Jones un rapporto simbiotico: ritmo e chitarra si muovevano all’unisono, costruendo un tappeto sonoro assertivo su cui si innestavano le parole di Rotten. Il suo stile di batteria, carico di rullate secche e drumming quasi tribale, fu cruciale per la potenza live dei Sex Pistols.

2.4 Glen Matlock

Glen Matlock, nato nel 1956 a Croydon, era il bassista originario della formazione: polistrumentista, suonava anche la chitarra e il pianoforte. A differenza dei compagni, Matlock aveva solide basi musicali: amava i Beatles, il glam rock, e aveva una cultura musicale più ampia rispetto alla media dei ragazzini punk. McLaren lo scelse inizialmente perché sapeva tenere il ritmo e comporre parti di basso orecchiabili. Matlock è spesso accreditato per aver composto, in collaborazione con Lydon, gran parte delle prime canzoni dei Pistols: in particolare, si attribuisce a lui il riff di “Pretty Vacant” e la melodia portante di “Anarchy in the UK”. La sua capacità di inserire linee di basso più articolate (rispetto alla figura di Sid Vicious, che lo sostituirà in seguito) diede un’impronta musicale che, per certi versi, anticipava un punk meno schematico e più melodico. Tuttavia, nel febbraio 1977, dopo le registrazioni iniziali per l’album (ma prima dell’uscita di “God Save the Queen”), Matlock venne “congedato” per divergenze creative: da un lato Lydon sosteneva che Glen era troppo vicino alle sonorità pop dei Queen e dei Beatles; dall’altro, si vociferò di contrasti personali e di un’atmosfera sempre più tossica durante le prove. La realtà è che Matlock abbandonò la band in maniera civile, ma immediatamente l’immagine dei Pistols come quartetto perfetto (Rotten, Jones, Cook e Vicious) venne adottata dal manager McLaren, il quale cercava a tutti i costi uno “scapegoato” da sacrificare all’altare del conflitto.

2.5 Sid Vicious (John Simon Ritchie)

John Simon Ritchie, noto come Sid Vicious, nacque nel 1957 a Lewisham. Figlio di un cameriere di origine britannica e di una madre irlandese, visse un’infanzia travagliata: la madre commise suicidio quando lui aveva 12 anni, e il verismo di quell’esperienza lo segnò profondamente. Dotato di un fisico spigoloso, con zigomi pronunciati e sguardo vuoto, Sid incarnava perfettamente l’estetica punk: bassissimo carisma musicale (non sapeva suonare il basso fino a quando non entrò nei Pistols), ma grande attitudine scenica, e un alone di pericolo che affascinava il pubblico. Quando Matlock lasciò la band, McLaren avvicinò Vicious – suo amico occasionale – convincendolo a diventare il nuovo bassista, trasformando di fatto i Pistols in un quintetto (con Cook, Jones, Rotten, Matlock e Vicious) per poche settimane, quindi in un quartetto (senza Matlock) ufficiale. In studio, però, fu Steve Jones a suonare la maggior parte delle parti di basso sull’album Never Mind the Bollocks, perché Vicious non aveva ancora familiarità con lo strumento. Sul palco, però, Sid divenne l’emblema dell’antieroe: agitava il basso come una clava, spesso pretendeva di “suonare” su una corda sola, lanciava il plettro al pubblico, rompeva tutto ciò che trovava di fronte a sé. Il suo rapporto con il batterista Cook ricordava un’“unione pericolosa”: tra i due c’era un’intesa muta, fatta di resistenze fisiche, sguardi di sfida e occasionali esplosioni di violenza (Sid aveva già problemi con la droga, specialmente eroina). La sua figura fu determinante per conferire ai Pistols quell’alone di autodistruzione che, per certi versi, superò persino la loro musica nella memoria collettiva.

 

3. L’avvento di Malcolm McLaren: manager e provocatore

 

3.1 Dalla boutique “SEX” ai Sex Pistols

Malcolm McLaren (1946-2010) – ex artista di avanguardia, grafico e designer – divenne l’indiscusso vettore dell’immagine dei Sex Pistols. Nel 1971 aprì la boutique “Let It Rock” (poi ribattezzata “SEX”) insieme a Vivienne Westwood nella King’s Road di Chelsea: un negozio di abbigliamento che combinava riferimenti all’epoca vittoriana con immagini religiose e politiche fortemente provocatorie, utilizzando tute di pelle, spille di sicurezza giganti, giacche con scritte shock, e gadget satanici. La boutique attirò fin da subito una clientela eterogenea: studenti delle belle arti, futuristi, artisti di strada, punks incipienti e diseredati alla ricerca di un’identità alternativa. McLaren capì presto che per promuovere il negozio serviva una band in grado di attirare l’attenzione dei giornali scandalistici. Così, nel 1975, dopo aver lasciato il gruppo che manovrava (“The Strand”), mise insieme uno show assieme alla compagna Vivienne Westwood, e decise di formare un gruppo a immagine e somiglianza della sua estetica insofferente e nichilista: nacquero così i Sex Pistols.

Da un lato McLaren era un ottimo talent scout: individuò in Steve Jones e Paul Cook due musicisti dotati di buona intesa ritmica; dall’altro, aveva un ottimo “fiuto” per l’immagine pubblica, per la provocazione e la controversia. Il suo approccio imprenditoriale a metà tra arte concettuale e marketing sensazionalistico si concretizzò in slogan scritti a mano sulle giacche punk, video irridenti (come quelli mostrati agli eventi e alle sfilate di moda), e interviste mirate a offendere moralisti e benpensanti. Capì che il modo migliore per vendere il negozio e la “cultura punk” era creare scandali: si circondò di giornalisti, organizzò serate di notti briose (che terminavano spesso in risse), e fece pubblicare articoli su Melody Maker e NME entusiasticamente provocatori.

3.2 Il ruolo di McLaren nei testi e nell’immagine dei Pistols

Sebbene i testi delle canzoni fossero firmati principalmente da Johnny Rotten e Glen Matlock (almeno inizialmente), furono prevalentemente McLaren e la Westwood a suggerire idee, titoli e slogan. Ad esempio, l’idea di intitolare un singolo “Anarchy in the UK” (dicembre 1976) scaturì dalla necessità di suscitare sdegno nell’establishment: la parola “anarchia” – in un paese abituato al monarca, alla corona e alle istituzioni – suonava come un’eresia. Il manager forniva fotografie in bianco e nero, ritoccate con scritte barrate, simboli anarchici (A cerchiata), e preferiva mantenere volutamente un’immagine grezza, quasi amatoriale, per la grafica degli album e dei singoli. In questo, i Pistols si differenziavano nettamente dalle produzioni glam e prog, che investivano in copertine elaborate e costose; al contrario, i Pistols riproducevano copertine (come quella del singolo “God Save the Queen”) a costo quasi zero, riciclando caratteri tipografici anni ’40 e fotografie di repertorio, strappate e ricollate a mano. McLaren curò personalmente la loro immagine in tv: fece in modo che apparissero di fronte a Bill Grundy (giornalista e conduttore britannico) senza buone maniere, criticassero la regina, usassero linguaggio scurrile e di fatto sancirono la rottura definitiva con la “bon ton” televisivo dell’epoca.

 

4. Prime esibizioni e i singoli iniziali (1975-1976)

 

4.1 I concerti ai club underground

I Sex Pistols iniziarono le loro esibizioni dal basso, suonando in piccoli club e centri sociali auto‐gestiti di Londra, in venues quasi anonime, come il 100 Club e lo SFX Club. Il loro primo concerto ufficiale ebbe luogo il 6 novembre 1975 al Saint Martin’s School of Art in Arlington House, Camden Town, dove erano stati invitati come supporto di un’altra band. In quell’occasione, il pubblico – in gran parte studenti di arte e avanguardie – non reagì con foga: molti fischiarono i Pistols, accusandoli di suonare male e di non essere all’altezza del loro nome provocatorio. In realtà, l’intento dei Pistols era proprio quello di ripudiare la “perfezione” tecnica: volevano mostrare che bastavano pochi accordi, un po’ di attitudine e un incontenibile desiderio di provocare. Nei mesi successivi, suonarono regolarmente in piccoli pub, bar e ladri di periferia. I fan si limitavano a una trentina o quindicina di persone, spesso ingannate dal passaparola. Molti dei primi spettatori decisero di andarsene dopo due brani, perché la loro musica risultava troppo rumorosa, dissonante e priva di una “melodia accattivante”.

4.2 Il primo singolo: “Anarchy in the UK”

L’aspetto cruciale nella storia dei Sex Pistols fu l’uscita del loro primo singolo, “Anarchy in the UK”, pubblicato il 26 novembre 1976 dalla EMI, a cui però la casa discografica mise fine prematuramente, cancellando il contratto dopo poche settimane a causa di pressioni politiche. Il brano, prodotto da Chris Thomas, si apriva con un riff di basso (eseguito da Glen Matlock), un ritmo sostenuto di batteria e una voce di Rotten che sembrava gridare una sorta di manifesto nichilista: “I am an antichrist / I am an anarchist / Don’t know what I want / But I know how to get it … Is this the MPLA? Or is this the UDA? / Or is this the IRA? / I thought it was the UK…” (in italiano: “Sono un anticristo / Sono un anarchico / Non so cosa voglio / Ma so come ottenerlo… È questa la MPLA? O è questa la UDA? / O è questa l’IRA? / Pensavo fosse il Regno Unito…”). Con queste righe, i Pistols misero in discussione non solo la monarchia, ma ogni forma di potere strutturato (MPLA, UDA e IRA erano movimenti paramilitari politicamente impegnati). Il singolo fu immediatamente contestato da buona parte della stampa conservatrice e addirittura da alcuni quotidiani, che lo definirono “blasfemo” e accusarono gli artisti di fomentare violenza politica. L’EMI preferì non sporcarsi la reputazione: dopo un’esplosione di polemiche (tra l’altro provocate dallo show televisivo di Bill Grundy, in cui Rotten diede della “bitch” all’intervistatore), la casa discografica rescisse il contratto, distrusse circa 25.000 copie già stampate e abbandonò i Pistols al loro destino. Questo episodio contribuì a conferire al gruppo il mito dell’“assassino discografico”, rafforzando l’aura di band ostile a ogni forma di compromesso.

4.3 Proseguimento con A&M e Virgin

Dopo l’abbandono dell’EMI, i Sex Pistols trovarono un ovvio rifugio in A&M, che firmò con loro un contratto di due giorni: A&M pubblicò una piccola tiratura di circa 10.000 copie del singolo “God Save the Queen” in occasione della celebrazione del Giubileo d’argento della regina Elisabetta II, il 7 maggio 1977. Il testo di “God Save the Queen” era un attacco frontale all’establishment: “God save the queen / She ain’t no human being / There is no future / In England’s dreaming … No future, no future, no future for you / No future, no future, no future for me … We don’t like the queen…” (in italiano: “Dio salvi la regina / Non è un essere umano / Non c’è nessun futuro / Nel sogno inglese… Nessun futuro, nessun futuro, nessun futuro per te / Nessun futuro, nessun futuro, nessun futuro per me… Non ci piace la regina…”). Il brano fu bandito dalle radio pubbliche della BBC, ma divenne un inno tra i punk di tutto il Regno Unito. L’NME titolò “COMMERCIAL SUICIDE” (suicidio commerciale) per descrivere la decisione di A&M, che dopo due giorni ruppe il contratto, bruciando a sua volta le locandine e cancellando ogni traccia della collaborazione con i Pistols. Alla fine, a giugno 1977, fu la Virgin Records a credere nel progetto: la neonata etichetta fondata da Richard Branson pubblicò “God Save the Queen” (posizionandolo, nonostante il rifiuto delle radio, al numero 2 della classifica britannica di singoli) e, il 28 ottobre 1977, l’album Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols. Questo passaggio alle case discografiche successive fu emblematico: ogni major doveva scontrarsi con l’ira dei benpensanti, ogni etichetta inaugurò una battaglia legale con la stampa, ma la Virgin – giovane, ribelle e in espansione – era pronta a scommettere sulla loro provocazione per aumentare il proprio prestigio.

 

5. Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols: analisi dell’album

 

5.1 Contesto della registrazione e produzione

La decisione di registrare l’album e di affidarsi a Chris Thomas (produttore che aveva già lavorato con i Beatles per il remix di “Strawberry Fields Forever” e con i Roxy Music) fu dettata da un compromesso: da un lato, la band voleva un suono sporco, sincero, che catturasse l’energia live; dall’altro, la casa discografica (Virgin) pretendeva un prodotto abbastanza “liscio” da vendere mille copie senza mandare in bancarotta la compagnia. Il processo di registrazione avvenne in due fasi: prima presso gli studi Wessex di Londra (luglio 1977), dove furono incise la maggior parte delle parti strumentali, e poi presso gli Studios Eden di Londra (agosto 1977), dove Rotten aggiunse le sue linee vocali. Le sessioni furono caratterizzate da tensioni continue: Sid Vicious era quasi sempre sotto effetto di eroina, arrivava in ritardo e spesso non sapeva accordare il basso; Johnny Rotten pretendeva di modificare i testi in corsa, minacciando di andarsene se non fosse stato accontentato; Steve Jones voleva suonare tutto da solo, sostenendo che gli altri membri non fossero all’altezza; Paul Cook cercava di mantenere un minimo di disciplina, ma spesso i tecnici di studio erano costretti a sopportare un’atmosfera carica di insulti e insubordinazione. Nonostante tutto, Chris Thomas riuscì a imprimere all’album un suono squilibrato: il basso pulsante di Jones (piuttosto che di Vicious), la batteria cruda di Cook, chitarre taglienti e voce tagliente di Rotten. L’obiettivo era quello di catturare un suono realistico, che non sembri eccessivamente prodotto, ma al tempo stesso garantire una sufficiente intelligibilità per le radio indipendenti.

5.2 Struttura e contenuti delle tracce

L’album è composto da dodici tracce, ognuna con una propria identità musicale e testuale:

  1. Holidays in the Sun
    – Apertura “col botto”: wakka wakka di chitarra, batteria incalzante, e un ritmo quasi militare. Il testo descrive un viaggio immaginario di 24 ore a Berlino (allora divisa dal Muro) in un clima di tensione ipotetica tra Est e Ovest, ma in realtà è una critica al concetto di vacanza borghese: le “vacanze” diventano un’escapology (evasione) da una realtà deprimente e squallida, il tutto con uno spirito beffardo e cinico.
  2. Bodies
    – Brano basato sul tema dell’aborto, con parole forti e discutibili (“She’s a slut and it shows / A cold heart that grows / She wants a kid and she knows / Where to go / When she wants a kid / That’s when she knows / She’ll have to go to W.P.I.”). “W.P.I.” (Women’s private infirmary) indica l’ospedale privato dove si eseguono aborti. Rotten dipinge la storia in modo crudo, senza filtri, denunciando la situazione di una giovane donna costretta a ricorrere all’aborto clandestino a causa dell’assenza di educazione sessuale e del tabù morale. Musicalmente, il riff di chitarra è giocato su un crescendo che sfocia in un ritornello ossessivo e minimalista: “Bodies / Bodies / Bodies”.
  3. No Feelings
    – Una presa in giro dei cliché romantici: le strofe si susseguono con sarcasmo, la voce di Rotten sembra urlare l’indifferenza totale verso l’idea di amore o danni emozionali. Il brano è veloce, ferale, con un ritornello ripetuto all’infinito (“No feelings, just feelings / No you’re never gonna make it down / ‘Cause if you want it, you can’t have it now”). L’atmosfera è volutamente claustrofobica, come se l’ascoltatore fosse chiuso in una stanza buia, senza via d’uscita affettiva.
  4. Liar
    – Una ballata punk mid‐tempo, in cui Rotten accusa un amante di essere un bugiardo patologico, un traditore sociale e personale. Il testo è quasi shakespeariano nella costruzione delle accuse (“Your face is older than the outside world / Your jowls hang down and make you look like a girl”), ma mantiene un tono brutale e diretto. Musicalmente, il brano richiama la spider punk stonata, con chitarre distorte e una batteria martellante.
  5. Problems
    – Ancora una confessione di disillusione: “You think you’re so clever / But you can’t work me out / There’s only so much / A person can take” (in italiano: “Credi di essere così furbo / Ma non puoi capirmi / C’è un limite a ciò / Che una persona può sopportare”). Il riff è essenziale, quasi giocoso, ma i versi trasmettono rabbia verso un partner incostante. Viene spesso catalogata come brano rappresentativo del punk romantico violento.
  6. God Save the Queen
    – Brano simbolo del rifiuto assoluto dell’autorità monarchica e dell’establishment britannico. A differenza di quanto si potrebbe pensare, Johnny Rotten non è ateo devoto, ma preferiva prendere di mira la corona come simbolo di un sistema che manteneva classi sociali rigide e impediva ogni forma di cambiamento autentico. Il testo è spregiudicato: “God save the queen / She ain’t no human being / And there’s no future / In England’s dreaming” (“Dio salvi la regina / Non è un essere umano / E non c’è futuro / Nel sogno inglese”). Musicalmente, l’introduzione metallica diventa subito un classico per il pogo nei concerti, e il ritornello è una sorta di “inno generazionale” contro ogni forma di autorità. Il singolo vendette oltre 150.000 copie entro la prima settimana, nonostante il veto della BBC.
  7. Seventeen
    – Brano più malinconico e quasi “cantautorale” rispetto agli altri; l’introduzione della chitarra acustica ricorda sonorità folk, ma la voce di Rotten è ruvida e amara: “I’ve had enough of subways / And I’ve had enough of trains / And I’ve had enough of traveling / So put me on the next flight home” (“Ne ho avuto abbastanza delle metropolitane / E ne ho abbastanza dei treni / E ne ho abbastanza di viaggiare / Quindi mettetemi sul prossimo volo per casa”). Il tema è l’età della giovinezza (17 anni), l’impazienza, il desiderio di fuggire e l’incapacità di trovare una direzione precisa.
  8. EMI (Electric and Musical Industries Ltd.)
    – Un attacco diretto alla casa discografica che aveva soppresso “Anarchy in the UK”. Il testo, cantato in modo sarcastico, sembra quasi un ringraziamento paradossale a un’azienda che “soffoca la creatività”: “EMI how many people choose to hate you now / EMI they made you a big name / Whereas letters on a tin can / Seems to have one track mind / Let’s do it again …” (“EMI, quante persone scelgono di odiarti adesso / EMI ti ha reso un grande nome / Mentre le lettere su una lattina / Sembrano avere una mente monocorde / Facciamolo di nuovo…”) Il brano si serve di un giro di chitarra ossessivo, con una produzione volutamente cruda.
  9. Pretty Vacant
    – Uno dei singoli più conosciuti del gruppo, pubblicato il 1977. Il titolo gioca sul doppio senso di “vacant” (vuoto, ma anche “in stato di ebbrezza”). Rotten, nel ritornello, sembra alterare la pronuncia per ottenere un suono più blasfemo (“Hey ho, spend thy days in bed, she said / Hey ho, and the nights remain unsaid / Hey ho, what a price to pay / Hey ho … I’m pretty vacant”), quasi evocando oscenità. Musicalmente, il riff è immediato, la batteria di Cook spinge costantemente, e il basso di Jones (sempre presente) scandisce una linea essenziale ma straordinariamente efficace. Il brano trasmette un senso di vuoto largamente condiviso tra i giovani disoccupati dell’epoca.
  10. New York
    – Una canzone di argomento geopolitico e culturale: Rotten paragona l’Inghilterra decadente alla vitalità e al caos di New York, descrivendo la metropoli americana come un luogo in cui “c’è vita”. Il ritornello, cantato da Rotten con una cadenza quasi parlata, recita: “F**k off, nana / Go to New York” (“Vaffanculo, nonna / Vai a New York”). Il brano è connotato da un’ironia amara: l’Inghilterra è una “vecchia che puzza”, mentre New York è l’emblema di una modernità spietata ma viva. Il riff è semi‐acompmagnato, con un uso limitato degli accordi, mentre la batteria di Cook si adatta a un andamento più “swing”.
  11. Submission
    – Una canzone che risente delle influenze del proto‐punk e dei New York Dolls: un rock’n’roll quasi “demodé” che racconta un amore manipolatorio. Anche in questo caso, Rotten mostra una vena poetica nel descrivere i rapporti di potere all’interno di una coppia: “You got me / I got you / An’ it’s hard to look the other way / Submission / Submission” (“Tu mi hai / Io ho te / E fa male guardare dall’altra parte / Sottomissione / Sottomissione”). Il brano è più controllato, meno violento, quasi ballabile, ma conserva un testo sardonico.
  12. No Future (EP versione)
    – Spesso incluso solo nelle prime edizioni LP, questo brano riassume in un paio di minuti l’essenza del punk nihilista: “No future, no future / No future for you / No future, no future / No future for me”. È quasi un epitaffio della band, un grido disperato che rinuncia a ogni speranza in un mondo di ingiustizie.

5.3 L’impatto immediato e le controversie

Appena messo in commercio, l’album fece impazzire critica e pubblico: le recensioni oscillarono tra il fulminante entusiasmo di Melody Maker (che salutò i Pistols come “i Grandi Distruttori del Rock”) e il biasimo delle riviste mainstream, che definirono il loro atteggiamento “osceno” e “potenzialmente violento”. Ancora una volta, la BBC si rifiutò di trasmettere interamente “God Save the Queen” e spesso tagliava le parti più volgari durante i passaggi radiofonici. Il tabloid The Sun arrivò a titolo “Pistols: lavi la bocca prima di parlare!”, spingendo per un boicottaggio totale dei dischi. In occasione del Giubileo d’argento della regina, il singolo “God Save the Queen” venne considerato un insulto alla nazione: la polizia sorvegliava le fiere, la stampa si scatenò e la Regina stessa (seppur dietro le quinte) protestò con l’etichetta. Nonostante tutto, entro due settimane l’album raggiunse la seconda posizione nelle classifiche britanniche, superato solo da “We Don’t Need Another Hero (Thunderdome)” di Tina Turner (anche se, di fatto, sul mercato l’album stava vendendo più di tutti i dischi delle prime cinque posizioni messe insieme). Gran parte del merito andava a una massiccia campagna di stampa gratuita: ogni volta che i clienti entravano in un negozio di dischi per comprare un album, semiannunci pubblicitari venivano sostituiti con recensioni scandalizzate.

 

6. Scandali televisivi, arresti e tensioni interne

 

6.1 Lo show di Bill Grundy (4 dicembre 1976)

Un episodio chiave nella storia dei Sex Pistols, e nella loro leggenda nera, fu l’intervista con Bill Grundy nel programma televisivo “Today” (Granada Television). L’esibizione – trasmessa in fascia pomeridiana – doveva essere un piccolo segmento di quindici minuti in cui i Pistols avrebbero cantato qualche brano acustico e risposto a due‐tre domande. In realtà, Grundy si comportò in modo ambiguo, invitandosi a una certa confidenza, facendo battute cattive contro i membri della band (“State calmi, ragazzi, o ci saranno guai giù nella vostra strada!”). Ad un certo punto, Rotten, stufo di domande banali, esplose in una serie di insulti (“What a prat you are!”; “You dirty sod!”; “Shut that face in, you piss‐taking bastard!”) e fece gesti osceni (alzò il dito medio). La madre del giovane giornalista, che era in studio in un box laterale, rimase sconvolta. Quando il video fu trasmesso, la stampa di destra si infuriò e scrisse articoli scandalistici con titoli tipo “Pervertiti a pontificare sui nostri bambini!” o “Tv sporca e banda di teppisti”. La reazione pubblica portò a una denuncia di “vilipendio di maestà”, ritenendo che i Pistols avessero insultato l’immagine della regina (anche se il termine si riferiva letteralmente a un insulto personale nei confronti di Grundy). In seguito, Rotten dichiarò di averlo fatto per un “gesto politico”, ma in realtà era semplicemente un atto di puro disprezzo verso il conformismo televisivo.

6.2 Arresti e violenze: da Margaret Thatcher alla prigione di New York

Nel maggio 1977, mentre la band suonava a Manchester, si verificò una rissa in cui Steve Jones e Paul Cook vennero arrestati per aggressione ai danni di un agente di polizia che aveva tentato di sedare la folla in delirio. Rotten, dal canto suo, rimase libero ma rilasciò una dichiarazione pubblica di solidarietà verso i compagni. L’episodio alimentò ulteriormente la percezione che i Pistols fossero una minaccia all’ordine pubblico. Poco dopo, la neonata leader del Partito Conservatore, Margaret Thatcher, definì i Sex Pistols “una banda di teppisti e criminali”, alimentando un clima moralistico e di censura. Intanto, la band preparava il tour negli Stati Uniti (luglio-agosto 1978), che si rivelò un’esperienza catastrofica: l’organizzazione era scadente, i biglietti spesso non venduti, la polizia newyorkese ostile, la comunità punk americana sosteneva che i Pistols non fossero “autentici punks” ma “prodotti commerciali”. A New York, Sid Vicious, sempre più dipendente dall’eroina, iniziò a spacciare droga per finanziare la propria tossicodipendenza. Al Riviera Theater di Chicago, l’esibizione fu interrotta perché i tecnici dell’impianto minacciarono di tagliare la corrente. Un passaggio particolarmente drammatico avvenne al Winterland Ballroom di San Francisco, quando la folla, stanca della scarsa qualità del suono e delle continue ritardi, lanciò oggetti sul palco. Dopo quella serata, Rotten – disgustato dall’esperienza americana – abbandonò la tournée e tornò in Inghilterra. Il resto della band, guidata da Sid, terminò in modo irregolare il tour, con concerti improvvisati, a volte in locali minimalisti, senza alcuna sicurezza.

6.3 L’omicidio di Nancy Spungen e la caduta libera di Sid Vicious

Nel mese di ottobre 1978, Sid Vicious – nel frattempo fidanzatosi con Nancy Spungen, una groupie americana con evidenti problemi psichici e tossicodipendenza – fu ospite insieme alla ragazza in un appartamento del Chelsea Hotel di New York. Nella notte tra il 12 e il 13 ottobre, Nancy fu trovata morta nella toilette, con una coltellata al petto, mentre Sid, seduto sul water, aveva una ferita superficiale. Sid sostenne di non ricordare niente, affermando di essersi svegliato in condizioni confusionarie. Vicious venne arrestato e incriminato per omicidio colposo. Durante la detenzione in carcere in attesa di processo, Sid cadde ancora più profondamente nell’eroina. Il 2 febbraio 1979, a poche ore dal rilascio su cauzione (grazie a un pagamento di 50.000 dollari che la madre di Nancy aveva procurato), fu trovato morto per overdose nel suo appartamento di Greenwich Village. La sua morte – avvenuta a soli 21 anni – sancì la fine dell’era Sex Pistols: senza la figura di Sid (che, seppur musicalmente scarsissimo, era diventato simbolo stesso del caos punk), i restanti tre membri decisero che non avrebbe avuto più senso proseguire con quello che ormai era un progetto ferito a morte.

 

7. Il disfacimento della band (1978-1979)

 

7.1 Crisi interne e litigi

Tra il 1977 e il 1978, la situazione all’interno dei Sex Pistols divenne via via più carica di tensioni. Johnny Rotten – disgustato dall’idea di dover recitare la figura del ribelle controllato da un manager sempre più invadente – iniziò a reagire con frasi carezzevoli ma piene di veleno: “Questo gruppo è un prodotto di marketing, non un’impresa musicale reale”, disse in più occasioni durante le interviste. Steve Jones e Paul Cook, sebbene legati da un’affiatamento solido, si sentivano in trappola, costretti a ripetere la medesima scaletta in tour, senza poter esprimere evoluzioni musicali. La decisione di escludere Glen Matlock, per sostituirlo con Sid Vicious (che non sapeva suonare il basso), fu soprattutto un colpo di fulmine estetico: McLaren vide in Sid un potenziale “padrone del palco”, un’icona che attira l’attenzione come un magnete, ma musicalmente risultò un disastro. Sul palco, spesso Sid mancava le note, Paul Cook lo aiutava indicandogli i fondamentali, mentre Steve Jones cercava di mascherare i vuoti restando a suonare seduto più vicino al centro del palco. Johnny Rotten, notando questa dinamica, si fece sempre più freddo e cinico verso Vicious e, di riflesso, verso McLaren. A un certo punto, Rotten insistette per avere il totale controllo sul repertorio e sulle campagne stampa, minacciando di lasciare la band qualora non gli venisse riconosciuta la libertà artistica.

7.2 Ultima esibizione UK a Winter Gardens, Blackpool (14 gennaio 1978)

La data che in molti considerano l’ultima vera esibizione dei Sex Pistols nel Regno Unito è quella del 14 gennaio 1978 ai Winter Gardens di Blackpool, Manchester. L’evento, inizialmente pubblicizzato come “Sex Pistols Live” e in scaletta con band di supporto minori, vide rapidamente degenerare l’atmosfera: la pioggia gelida e la folla connessa alle scarsissime vendite dei biglietti (meno di un migliaio in un’arena da 5.000 posti) provocarono malcontento; Sid Vicious era ubriaco, sbagliava i tempi e ignorava completamente la metrica dei brani, arrivando addirittura a dare un pugno a un fan che cercava di avvicinarsi troppo al palco. Rotten, infastidito, pronunziò in diretta radio un frammento di “No Future”: “I want to spit in your eye / ‘Cause I’m an innie / To all you out‐tens / …”, quindi abbandonò il palco dopo soli sette pezzi, mentre Jones e Cook continuarono per qualche secondo scandendo il riff di “Problems” in modo stentato. Dopo quell’episodio, fu evidente che la band fosse ormai allo sbando: Rotten fece rientro a Londra, ignaro delle successive date già annunciate, lasciando McLaren a dover gestire i contratti e le promesse. Sul finire di gennaio, Rotten notificò formalmente la band della sua intenzione di chiudere il progetto “Sex Pistols” e di continuare come solista con un nuovo nome.

7.3 Scuole e scontri d’egemonia con il movimento punk

Nel momento in cui i Sex Pistols stavano sgretolandosi, altre band cominciarono a occupare il vuoto lasciato dai “pistoli”. A Londra esplodevano i The Clash, i The Damned, i Siouxsie and the Banshees e i Buzzcocks, mentre in Manchester i Buzzcocks e i The Fall si affermavano in club come il Rochdale Electric Circus. A New York, si formavano i Ramones e i Television, mentre dopo l’uscita di “Blank Generation” i Richard Hell & the Voidoids esercitavano un’influenza enorme sulla scena underground. In questo frangente, ai Pistols si rimproverava di essere “più immagine che sostanza”, come se avessero giocato con il concetto di ribellione senza mettere reale contenuto nelle loro canzoni, al di là dei slogan. Rotten, in un raro commento pubblico di metà 1978, affermò: “Siamo stati il detonatore; ora la fiamma si è sparsa. Non mi interessa chi regge la torcia. Il punk vive, anche se il Sex Pistols è già morto”.

 

8. Il percorso post‐Sex Pistols dei membri

 

8.1 Johnny Rotten / John Lydon e i Public Image Ltd (PiL)

Dopo aver lasciato i Sex Pistols, John Lydon (all’epoca ancora conosciuto come Johnny Rotten) fondò, nel 1978, i Public Image Ltd (PiL). L’idea era di rompere definitivamente con le sonorità punk elementari e spostarsi verso un post‐punk più elaborato, contaminato da dub, funk e minimalismo. Il primo album dei PiL, Public Image: First Issue (1978), conteneva brani come “Public Image” e “Religion” che si prendevano gioco della celebrità e della fede cieca nelle istituzioni. Rotten – ribattezzato “Lydon” per evitare problemi legali con McLaren (poiché “Rotten” era un marchio registrato dalla Westwood) – si autodefiniva “esule volontario dal movimento punk”, perché riteneva che l’estetica e il cliché “rinnegassero” la vera sostanza dell’antagonismo. Tra il 1979 e il 1981, i PiL pubblicarono tre album di grande influenza (Metal Box nel 1979 e Flowers of Romance nel 1981), caratterizzati da avanguardistiche sperimentazioni: chitarre che diventano rumore bianco, ritmi cadenzati quasi industriali e testi surreali. Lydon restò leader carismatico fino al 1992, quando sciolse i PiL per poi riattivarli nel 2009. Nel periodo tra la fine dei PiL (primo ciclo) e l’inizio del nuovo, Lydon pubblicò le sue memorie (2008), rivisitazioni di brani solisti, e apparì come giudice televisivo (ad esempio in trasmissioni di canto), suscitando critiche dal mondo indie e underground, che lo accusavano di aver tradito la filosofia punk diventando un “capitano d’industria dello spettacolo”.

8.2 Steve Jones e Paul Cook: i The Professionals

Dopo lo scioglimento, Steve Jones e Paul Cook si ritrovarono a dover decidere come proseguire la carriera. Nel 1979 fondarono i The Professionals, reclutando l’ex bassista dei Clash, Paul “Topper” Headon (anche se Headon alla fine non partecipò mai alla band), e il bassista Andy Allan. Il loro primo singolo, “Silly Thing” (1978), scritto da Cook e Jones, ottenne un discreto successo, entrando nella Top 20 britannica. Il suono dei Professionals recuperava l’energia dei Pistols, ma cercava di adottare arrangiamenti leggermente più curati, aggiungendo assoli di chitarra e ponti melodici. Nel 1980 pubblicarono l’album The Professionals, ma problemi contrattuali con la Virgin e le accuse di plagio da parte di un ex membro (Andy Allan reclamò royalties non pagate) frenarono la band. Nel corso degli anni ’80 e ’90, Cook e Jones collaborarono con altri progetti (come i Cheques e i Neurotics), ma non riuscirono mai a bissare il successo dei Sex Pistols. Nel 1996 parteciparono a un tour “sex pistols reunion” con Lydon e con Glen Matlock, ma con l’esclusione di Sid Vicious; quel tour fu una specie di “tributo simultaneo” piuttosto che una vera reunion. Oggi, Jones si dedica soprattutto alla produzione musicale e comparizioni televisive (talvolta appare in reality show britannici), mentre Cook lavora come sessionman e collabora con artisti punk e rock di seconda generazione, mantenendo un profilo piuttosto basso.

8.3 Glen Matlock: bassista “ritardatario” e produttore

Dopo aver lasciato (o essere stato estromesso da) i Sex Pistols, Glen Matlock entrò in crisi. Nei mesi successivi alla sua uscita dal gruppo, si dedicò alla scrittura di canzoni per altre band (come i Rich Kids, guidati dall’ex chitarrista dei Mott the Hoople, Mick Ralphs), cercando di trovare una situazione stabile. Con i Rich Kids incise un unico album, Ghosts of Princes in Towers (1978), che tuttavia fallì di vendite nonostante la critica lo considerasse un buon compromesso tra punk e pop melodico. Nel corso degli anni ’80, Matlock collaborò con artisti come Iggy Pop (nel progetto “Frenzy” del 1985), Mick Taylor (ex Rolling Stones) e formò i The Philistines (1984), con cui registrò due album, ma senza grande risonanza commerciale. Negli anni ’90, Glen riprese a collaborare con band indie e prese parte al “Sex Pistols reunion tour” del 1996, dove reinterpretò i brani originali con l’autenticità di chi li aveva composti. Negli anni 2000, iniziò a incidere materiale solista: Who’s He Think He Is When He’s at Home? (1996) e Born Running (2010), entrambi prodotti in modo piuttosto autoprodotto, con sonorità più adulte, riconducibili al rock britannico soft degli anni ’70. Matlock ha spesso dichiarato che non si è mai pentito di aver lasciato i Pistols, ritenendo che gli averi risparmiato una spirale di tossicodipendenza e autolesionismo che invece aveva completamente assorbito Sid Vicious.

8.4 Sid Vicious: breve vita, rapida fine

Abbiamo già trattato la tragica parabola di Sid Vicious, morto per overdose a soli 21 anni. L’unica testimonianza musicale ufficiale in studio con i Pistols rimangono alcuni scampoli di basso su brani demo, mai uscite in forma tradizionale. Sul fronte personale, la relazione con Nancy Spungen rimase oggetto di speculazioni: c’è chi sostiene che fosse stato un amico (il bassista di un’altra band, Billy Idol, presente nel palazzo, rivelò che Sid era andato a dormire in camera sua la notte dell’omicidio e che Nancy fu uccisa da un tossicodipendente estraneo), ma le ricostruzioni ufficiali non chiarirono mai la dinamica esatta. Il funerale di Sid fu una cerimonia intima, con qualche presenza di fan accorsa da tutto il mondo. La madre di Sid, invaghita da sempre dell’idea di avere un figlio rockstar, organizzò un volantino funebre in tipico stile punk, con la maschera di Bob Marley che compariva sul cofano del carro funebre. Dopo qualche anno, la stessa madre, Anne Beverley, si suicidò, rendendo ancora più tragica la vicenda.

9. Impatto culturale e influenza

 

9.1 L’estetica punk: moda, arte, fanzine

I Sex Pistols non solo cambiarono la musica, ma definirono un’intera estetica che andò ben oltre gli arrangiamenti di chitarra, influenzando la moda, l’arte grafica, il design delle copertine e la creazione di fanzine. Grazie a Vivienne Westwood e McLaren, il look punk – giacche di pelle strappate, spille di sicurezza, jeans stretti, T‐shirt con scritte provocatorie come “I hate Pink Floyd”, creste multicolore o capelli colorati con colori acrilici – divenne un fenomeno di massa: migliaia di giovani in tutto il Regno Unito cominciarono ad adottare quell’abbigliamento come forma di identificazione e ribellione. Le fanzine, prodotti autoprodotti con pochi spiccioli, vennero diffuse porta a porta nelle zone giovanili, nei college e nei festival all’aperto. Riviste come Sniffin’ Glue (Manchester, 1976-1977) e Ripped and Torn (Londra, 1977-1978) pubblicavano foto sgranate dei concerti dei Pistols, interviste “a organo uditivo”, testi di singoli non ancora usciti e recensioni critiche contro i grandi circuiti discografici. L’estetica punk si diffuse rapidamente in Europa continentale, dagli ex‐campi di concentramento riadattati come club a Berlino, fino alle bidonvilles parigine. In Italia, la scena punk nacque quasi simultaneamente a Roma e Milano: nel 1977/78 band come i Decay (Bologna) e i CCCP Fedeli alla linea (Reggio Emilia) si ispirarono apertamente ai Pistols, inserendo nel proprio repertorio brani tradotti in italiano come “Bastardi, Vat Lat” (traduzione di “God Save the Queen”) per sottolineare l’irrazionale furia rivoluzionaria.

9.2 La filosofia “Do It Yourself” (DIY)

I Sex Pistols incarnarono lo spirito “Do It Yourself” (falla da te), in cui bastava possedere una chitarra scassata, una batteria improvvisata e qualche pezzo di amplificatore abbandonato per iniziare a fare musica. Questa filosofia si radicò nelle scuole di arte e nei college: studenti e giovani disoccupati iniziarono a raccogliere fondi offrendo servizi provvisori (come consegne a domicilio di volantini) per comprare un microfono, poi creavano band di amici, sedevano in fretta in un appartamento condiviso e provavano in garage. Le registrazioni casalinghe, spesso realizzate con un semplice registratore a cassetta e il microfono del telefono, venivano duplicate su audiocassette, numerate a mano e distribuite in cambio di qualche sterlina nel cortile del pub locale. Tutto ciò contribuì a creare una nuova rete di distribuzione musicale che aggirava le major: il fenomeno delle “cassette pirata” – copie di singoli e live improvvisati – divenne virale. Molti critici, all’epoca, considerarono questo DIY un mero capriccio da dilettanti, ma in realtà gettò le basi per la diffusione successiva di generi come l’“indie rock” e l’“alternative”, dove l’autoproduzione rimane un valore centrale.

9.3 Influenza sulle generazioni successive di musicisti

Sebbene i Sex Pistols solcano solo dodici tracce nell’album ufficiale e alcuni singoli, la loro influenza si estese rapidamente a livello mondiale. Nei primi anni ’80, band come i The Ramones (Stati Uniti), i The Cure (Regno Unito) e i The Exploited (Scozia) dichiararono di dover tutto ai Pistols: dal modo di scrivere canzoni brevi, incisive e dirette, all’attitudine da “controverso provocatore”, fino alla comunicazione verbale – rifiuto del glamour, critica sociale, immagini horror‐punk. In Italia, la prima ondata punk di fine anni ’70 vide l’emergere di band come i Gaznevada (Roma, 1977), i Banditi (Milano, 1978) e i Pankow (Milano, 1979), che si rifecero senza indugio al modello Pistols, adattandone i testi all’ambientazione italiana (crisi del lavoro, tensioni politiche, estremismi di destra e di sinistra). Negli anni ’90, la scena britpop (Oasis, Blur) si spinse a definire i Pistols come i “progenitori del rock moderno”, rivalutando la loro attitude cinica e l’impatto dirompente sul mercato discografico. Anche generi come il grunge statunitense (Nirvana, Soundgarden) riconobbero l’influenza seminale: Kurt Cobain affermò che ascoltare “Anarchy in the UK” per la prima volta gli fece capire che non servivano tecnicismi per comunicare, ma solo autenticità e un’urgenza emotiva.

9.4 Lascito culturale oltre la musica

Non si può ridurre l’impatto dei Sex Pistols solo alla musica: la loro fermentata visione del mondo permeò arte visiva, letteratura, moda e cinema. Registi come Julien Temple realizzarono il documentario The Great Rock ‘n’ Roll Swindle (1980), che presentava la storia dei Pistols come un esperimento orchestrato da McLaren, suggerendo che la band fosse un “blob” manipolato per fini di lucro e sensazionali. Il film, pur non essendo oggettivamente fedele ai fatti, divenne cult, contribuendo a trasformare la vicenda dei Sex Pistols in mito. Nelle aule di sociologia e antropologia, si studiarono i Pistols come fenomeno di “resistenza simbolica” all’imperialismo culturale statunitense e alla decadenza interna britannica. Università come Oxford e Cambridge iniziarono a tenere seminari sulle influenze dirompenti della cultura punk, analizzando testi di Johnny Rotten come esempi di “testualità post‐istrionica”. In ambito letterario, saggi come England’s Dreaming di Jon Savage (1991) e Please Kill Me di Legs McNeil e Gillian McCain (1996) approfondirono le dinamiche della scena, indicando i Pistols come caso‐studio paradigmatico di contaminazione tra arte, politica e ribellione.

 

10. Analisi tematica dei testi e posizioni politiche

 

10.1 Nichilismo e rifiuto delle istituzioni

Gran parte dei testi dei Sex Pistols esprime un nichilismo irreversibile: la convinzione che non esista un futuro reale, che le istituzioni – Stato, Chiesa, famiglie – siano corrotte e inutili. “No Future” diventa un grido di resa: non c’è speranza in nessuna forma di riforma, non vale la pena lottare, meglio accettare un’esistenza marginale. Rotten, in diverse interviste, specificò che il suo nichilismo non era un’applicazione filosofica astratta (come il nichilismo heideggeriano), bensì un sentimento di rabbia istintiva: “Quando guardi il tuo quartiere, vedi sporcizia, vedi lavoro precario, vedi gente che non ha nulla per cui valga la pena sbattersi. Non c’è futuro, davvero. I nostri genitori ci hanno rovinato il mondo, non possiamo fidarci di loro, non possiamo credere nei loro slogan, non possiamo convincerci che arrangiarsi sia un sogno possibile.”

10.2 Provocazione per la provocazione: testi voluti scandalosi

Molti critici, all’epoca, accusarono i Pistols di scrivere testi volgari e scandalosi “solo per apparire più trasgressivi”. Certamente, c’era un margine di calcolo: parole come “whore” (zoccola), “bastard” (bastardo), e riferimenti all’aborto in “Bodies” vennero scelti per suscitare revoca morale e attirare l’attenzione dei giornalisti scandalistici. Eppure, se si analizzano bene le liriche, emerge una critica palese alla cosiddetta “morale borghese”: Rotten non glorifica l’aborto, ma mette in luce l’ipocrisia di una società che nega l’educazione sessuale e poi giudica chi si trova costretto a scelte drammatiche. Allo stesso modo, “Problems” non è un inno all’auto‐lesionismo, ma un grido di dolore verso le difficoltà delle relazioni interpersonali e sociali. Quindi, benché la forma fosse volutamente “sporca”, spesso aveva uno scopo di denuncia politica e sociale.

10.3 Rifiuto dei partiti politici e anarchia come slogan, non come opzione organizzata

L’invocazione all’anarchia (“Anarchy in the UK”) spesso venne fraintesa: i Pistols non indicarono mai un modello politico organizzato, come l’anarco‐sindacalismo o il comunismo libertario. Per loro, l’anarchia era soprattutto uno slogan di protesta, un modo per dire che non volevano assumersi la responsabilità di costruire una teoria politica, ma semplicemente lanciare pietre contro chi stava seduto comodo nel Parlamento di Westminster. Rotten in un’intervista del 1978 affermò: “Non siamo arancioni di partiti, non siamo nemmeno anarchici seri, siamo solo contro tutto. Se qualcuno vuole davvero fare l’anarchico, lo faccia pure, ma noi non siamo attivisti. Vogliamo fare casino e dimostrare che tutti questi patriarchi e vecchi politici sono patetici.” Di conseguenza, mentre l’anarchia suggeriva rivolte di strada, sì, i Pistols non offrirono mai un manifesto di tipo “Occupy” ante litteram; restarono fieramente “contro” ma non “per” nessuna causa specifica, se non l’autodistruzione performativa.

 

11. Aspetti tecnici delle registrazioni e produzione sonora

 

11.1 Lo stile di registrazione “live in studio”

Uno dei motivi per cui Never Mind the Bollocks suona così grezzo ed essenziale è la modalità di registrazione adottata: Chris Thomas e gli ingegneri decisero di registrare la maggior parte delle tracce “live in studio”, ossia far suonare la band insieme, senza isolare ogni strumento in cabine separate. Questo metodo enfatizza le interazioni istintive tra i musicisti, catturando minime variazioni di tempo e sbavature che, anziché essere corrette, furono considerate parte integrante del feeling punk. Spesso le take furono registrate in tre o quattro volte al massimo, perché Jones e Cook non fossero stanchi e mantenessero un approccio “fresco” e rabbioso. Rotten, dal canto suo, cantò quasi sempre con un unico microfono dinamico Shure SM57, puntato direttamente sulla sua bocca, senza alcuna protezione antivento o filtro pop; il risultato è una voce raggelante, vicina allo shouting hardcore, con sprazzi di urla sguaiate.

11.2 L’uso minimale di effetti e l’ottica “anti‐produzione”

Nel tentativo di respingere ogni artificio di produzione popolare, i Sex Pistols rinunciarono quasi del tutto a riverberi, chorus e compressori pesanti. Le chitarre di Jones passarono solo attraverso un amplificatore Marshall con distorsione al massimo, senza pedali o effetti esterni. Il basso “sporco” – suonato in gran parte da Jones stesso, che sostituì Vicious in studio di fatto – fu registrato con un DI (Direct Input) diretto alla consolle, conferendo una risonanza grezza e presente. Il riverbero venne usato soltanto sulla batteria in due o tre tracce, per accentuare il senso di spazio, ma la mescolanza complessiva restò secca. Questa scelta di “anti‐produzione” fu in netto contrasto con le tecniche di studio diffuse nel periodo, dove molti gruppi prog e glam registravano pezzi che duravano oltre i dieci minuti, con interventi di sintetizzatori, archi, cori multitraccia e orchestrazioni complesse.

11.3 Mastering e problemi legali per la copertina

Il mastering dell’album fu affidato a Bob Ludwig, al quale fu chiesto di rendere il suono più presente possibile sulle radio pirates inglesi – quelle che trasmettevano sulle frequenze dei treni in servizio nelle conurbazioni suburbane. Ludwig mantenne comunque un approccio rispettoso dell’originale, evitando di livellare i volumi eccessivamente, per non dover rimandare a un suono “commerciale”. Dal punto di vista grafico, la copertina – ideata da Jamie Reid – riprendeva il caratteristico stile “collage” (ritagli di giornale, scritte in stampatello rosso e nero, facce ridotte a caricature). L’idea ribelle di Reid era quella di ritagliare la foto della band da un quotidiano sovietico, colorarla a mano e sovrapporla a ritagli rubati alla rivista Daily Mirror. Tuttavia, l’etichetta Virgin venne trascinata in tribunale da W.H. Smith (catena di librerie britanniche) con l’accusa di “reato di vilipendio monarchico” a causa dell’immagine della regina camuffata, recante la scritta “God Save the Queen” barrata. Per evitare lunghe cause, Virgin accettò di cambiare leggermente la grafica (sfocando il volto regale). Questo episodio di censura legale fece esplodere la copertina nella notorietà: migliaia di collezionisti acquistarono la copia “proibita” presso negozi di importazione, facendo salire i prezzi a livelli vertiginosi.

 

12. Rilettura storica e critiche successive

 

12.1 Rivalutazioni in ambito accademico

A partire dalla fine degli anni ’80, i Sex Pistols cominciarono a essere oggetto di studi accademici in ambito sociologico, musicale e culturale. Opere come Punk: Attitudine ribelle di Jon Savage (1991) analizzarono le radici socio‐politiche del movimento punk, deducendo che la crisi economica del Regno Unito (1973-1979) fu terreno fertile per l’esplosione di un disagio che i Pistols incarnarono alla perfezione. Savage e altri studiosi evidenziarono come la band avesse saputo utilizzare strumenti comunicativi rivoluzionari (fanzine, “mail order”, contatti diretti con le fan base locali) per aggirare il monopolio culturale delle radio ufficiali e delle televisioni di regime. Le riviste universitarie di antropologia culturale scrissero su come l’estetica punk (giacche di pelle, spille, borchie, moicani) fosse un ibrido tra tradizioni working class e influenze protopunk statunitensi, ma anche un rifiuto radicale di un sistema di valori basati sul conformismo.

12.2 Critiche di chi “non vide l’arte oltre la trasgressione”

Non mancarono però critiche feroci di chi sosteneva che i Sex Pistols fossero più un fenomeno di marketing che una vera band rivoluzionaria. Alcuni storici della musica (come Ian MacDonald, autore di Revolution in the Head) accusarono McLaren di aver sfruttato i ragazzi come “pizza da vendere”: l’idea era quella di offrire uno scandalo confezionato, anziché un’arte autentica. Secondo questi detrattori, Rotten non era un cantante particolarmente dotato e raramente scrisse testi di grande valore letterario; i riff di Jones erano elementari; Matlock era l’unico che mostrava un briciolo di talento compositivo, ma fu estromesso perché il manager preferiva puntare su figure più “scandalose”. Anche l’assenza di una vera seconda fase artistica (come era avvenuto per altre band, ad esempio i The Clash) fu criticata: i Pistols non pubblicarono mai un doppio album, non svilupparono le loro idee, non esplorarono nuovi territori sonori dopo il primo disco, preferendo auto‐distruggersi. In quest’ottica, furono visti più come catalizzatori di un trend passeggero, anziché come artista destinati a durare a lungo.

12.3 Dall’epopea punk alla nostalgia retrò

Con l’avvento del new wave, del post‐punk e di sonorità new romantic, all’inizio degli anni ’80 il punk cominciò a essere identificato in modo nostalgico. Si organizzarono reunion dei Ramones, revival di gruppi come i Stiff Little Fingers e Damned, ma pochi riuscirono a ricreare il clima di disordine originario. Nel 1996, su invito di Bill Graham, i Sex Pistols si riunirono per un breve tour (denominato “Filthy Lucre Tour”) con Rotten, Jones, Cook e Matlock, senza Sid ovviamente. Il tour fu un successo commerciale ma fu pesantemente criticato dai nostalgici, che ritenevano impossibile far tornare “viva” quell’esperienza. Rotten, dal canto suo, accettò per necessità economiche, dichiarando in un’intervista: “Non sono tornato per essere un eroe, ma per pagare le bollette. E comunque, fare i Pistols oggi è come pedalare su una bicicletta fissata. Non posso più credere in quell’energia distruttiva, ma posso fare finta di farlo per pochi mesi.” Il tour si concluse senza ulteriori sviluppi.

 

13. Eredità globale e tributi

 

13.1 Band e scene ispirate ai Sex Pistols nel mondo

A distanza di oltre quarant’anni dalla loro nascita, l’influenza dei Sex Pistols si percepisce ancora chiaramente. In Francia, nel biennio 1977-1978, esplose la scène Oï! (imitazione della pronuncia di “Oi!” come onomatopea delle urla punk), con gruppi come i Métal Urbain e i Bérurier Noir. In Germania, Berlino Est subì l’influenza dei Pistols clandestinamente, attraverso cassette pirata, alimentando una micro‐scene underground che sfidava la censura della DDR. Negli Stati Uniti, la scena hardcore (Black Flag, Dead Kennedys, Minor Threat) dichiarò di aver mutuato dai Pistols non solo l’attitudine, ma l’idea di “autogestione musicale” e di “distribuzione diretta”. In Giappone, fin dal 1978 nascevano i The Stalin e i G.I.S.M., band che prendono a prestito la ferocia e la teatralità di Rotten e di Vicious, pur contaminandola con suggestioni hardcore e industrial.

13.2 Cover, tributi e riletture contemporanee

Molti artisti, nel corso del tempo, hanno omaggiato i Sex Pistols con cover o reinterpretazioni. Nel 1981, i The Clash eseguirono dal vivo una versione di “God Save the Queen”, cambiando il testo in “God save Spain” durante un concerto a Madrid per esprimere solidarietà agli operai in sciopero. Nel 1990, durante un tributo organizzato alla O2 Arena di Londra, artisti come John Lydon in veste di presentatore, insieme a band come i Green Day, i No Use for a Name e i Rancid, eseguirono medley dedicati al repertorio dei Pistols. Nel 2002, per il 25esimo anniversario di “God Save the Queen”, uscì una compilation di tribute album intitolata God Save the Sex Pistols, in cui band brit‐pop come i Muse e i Blur registrarono versioni riarrangiate dei brani classici. Ogni anno, nei pressi di Camden Town (soprattutto al negozio Sex di Westwood), migliaia di fan si radunano il 27 ottobre (data della morte di Sid Vicious) per rendere omaggio al bassista, deporre fiori e bere birra nei pub che una volta frequentava.

 

14. Discografia essenziale

 

Pur avendo una discografia relativamente ristretta (il che non ha scalfito minimamente la loro influenza), i Sex Pistols hanno rilasciato materiali che restano pietre miliari del rock. Di seguito, un breve riepilogo:

  • I singoli
    1. Anarchy in the UK (EMI, novembre 1976; ristampato da Virgin, giugno 1977)
    2. God Save the Queen (A&M, maggio 1977; ristampato da Virgin, giugno 1977)
    3. Pretty Vacant (Virgin, giugno 1977)
    4. Holidays in the Sun (Virgin, ottobre 1977)
  • L’album in studio
    1. Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols (Virgin, ottobre 1977)
      • Registrazioni: luglio-agosto 1977 presso Wessex Studios e Eden Studios, Londra
      • Produzione: Chris Thomas e Bill Price
      • Contenuto: dodici tracce che spaziano dall’anarchia sociale alla critica esistenziale
  • Live ufficiali (postumo)
    1. The Great Rock ‘n’ Roll Swindle (1980) – colonna sonora del film di Julien Temple, più brani registrati successivamente, non un vero live ma raccolta di out‐takes e sessioni alternative.
    2. Sex Pistols Live (1995) – registrazione di uno show al Winterland Ballroom di San Francisco, 14 gennaio 1978, considerato dagli appassionati un documento storico dell’ultimo concerto americano.
  • Raccolte e antologie
    1. Pirates of Destiny: The Very Best of the Sex Pistols (2002) – compilation con singoli, demo e cover rare.
    2. The F Album*** (2005) – raccolta dei brani rimossi dalla versione finale di “Never Mind the Bollocks”, include versioni early take di “Pretty Vacant” e “God Save the Queen”

15. I Sex Pistols nella memoria collettiva

 

15.1 Il ruolo dei documentari e del merchandising

Di pari passo con l’uscita di dischi e singoli, i Pistols furono oggetto di un merchandising che varcò i confini della musica per diventare fenomeno di costume: poster, T‐shirt, spille di sicurezza, spille con simboli anarchici, spille con fotografie dei membri sgranate e ritagliate a mano, libri fotografici. Il documentario The Great Rock ‘n’ Roll Swindle (1980) di Julien Temple, pur essendo un prodotto controverso (McLaren stesso volle inserirsi pesantemente nella sceneggiatura, arricchendola di aneddoti spesso falsi o romanzati), contribuì a cementare la leggenda: presentava la storia dei Pistols come se fosse un’operazione di McLaren per distruggere il rock’n’roll in favore di un nuovo prodotto commerciale, ritraeva Rotten come un “orfano al servizio del capitalismo” e Vicious come un “cavallo di Troia della droga”. Il film ottenne notorietà internazionale, pur non riscuotendo consensi unanimi: fu aspramente criticato da Lydon, che lo definì “propaganda commerciale priva di verità”.

15.2 Memoriali, musei e anniversari

Negli ultimi due decenni, i Sex Pistols sono stati celebrati in diverse mostre e retrospettive. Nel 2007, la mostra “Pistols: Never Mind the Bollocks” fu allestita presso il Museum of London, esponendo strumenti originali (la chitarra di Steve Jones, il basso di Sid Vicious, la giacca di pelle di Rotten), volantini autografi, contratti discografici, e centinaia di lettere inviate dai fan. Nel 2016, la mostra itinerante “Anarchy: Punk to the Present” fece tappa a New York, a Londra e a Berlino, analizzando l’evoluzione del punk fino alle sue derive contemporanee. Spesso, nel corso degli anniversari, vengono riallestite partite di calcio simulate tra ex punk (ad esempio, Lydon, Matlock, Jones e Cook disputarono una partitella benefica nel 2018 a Camden in occasione del 40° anniversario di “God Save the Queen”). Inoltre, in alcune radio universitarie (ad esempio, la London University Punk FM) esistono rubriche dedicate che riascoltano la discografia dei Pistols e ne commentano l’impronta storica.

 

16. Conclusioni: perché i Sex Pistols contano ancora

 

La storia dei Sex Pistols, per quanto breve (poco più di tre anni di attività tra prove, concerti, dischi e scandali), ha lasciato un segno indelebile non solo nella musica, ma nella cultura e nella società. Sotto la patina di volgarità, scandali e provocazioni, si intravedeva la protesta di una generazione che si sentiva abbandonata, repulsiva verso il conformismo e desiderosa di smantellare ogni forma di prepotenza. La filosofia del “non-aver-niente-da-perdere” dei Pistols ha ispirato artisti e movimenti politici alternativi, ha contribuito a smantellare le gerarchie discografiche e a promuovere l’autoproduzione, e ha lanciato un messaggio universale di dissenso verso qualsiasi sistema che ingabbiasse la creatività e la libera espressione.

  • Rottura dei codici borghesi: Mai prima d’allora una band si era posta come nemico dichiarato del mainstream al punto di essere bandita dai media ufficiali.
  • Visione “progetto autodistruttivo”: Il percorso dei Pistols fu un dispositivo narrativo in sé: il manifestarsi repentino, l’exploit mediatica, la stessa dissoluzione pubblica rappresentarono una “performance” estrema.
  • Ispirazione a filosofie alternative: Pur non essendo affiliati a nessun movimento filosofico definito, i Pistols introdussero i giovani alla filosofia anarchica, alla critica radicale delle istituzioni, e all’idea che l’atto creativo potesse essere un gesto di resistenza.
  • Eredità nella cultura visiva: La grafica di Jamie Reid – lettering sghembo, combinazione di ritagli di giornale, scritte provocatorie – fornì un modello visivo adottato in seguito dalle campagne politiche studentesche e dagli attivisti antiglobalizzazione.

A distanza di oltre quarant’anni, la lezione dei Sex Pistols suona ancora attuale: in un’epoca in cui la cultura pop è dominata da meccanismi di “viral marketing”, da algoritmi che dettano quali contenuti siano “consumabili” o meno, il messaggio dei Pistols – “fuck off” verso ogni narrazione precostituita – ricorda che c’è sempre spazio per la ribellione, per l’improvviso scoramento e per la violenta negazione di uno status quo obsoleto.

In ultima analisi, i Sex Pistols non lasciarono solo un album, dei singoli scandalo, e un’immagine iconica: posero le basi per trasformare la musica rock da intrattenimento a veicolo di protesta, purificandola al massimo, quasi fino all’osso, privandola di ogni orpello, e riducendola a un battito primitivo, un testo disturbante e un’affermazione di sé urlata a squarciagola. Anche se molti critici li hanno liquidati come “un fuoco di paglia”, la verità è che, nella breve fiammata punk del Regno Unito, furono la scintilla che diede fuoco a tutto: il rock non fu più lo stesso, e ogni generazione successiva, in qualche modo, cita ancora l’“anarchia” come parola‐chiave della propria crisi esistenziale.

Riferimenti selezionati per approfondimenti

 

  1. Jon Savage, England’s Dreaming: Anarchy, Sex Pistols, Punk Rock, and Beyond (Faber & Faber, prima ed. 1991).
  2. Neil Spencer (a cura di), Punk: The Illustrated History of a Music Revolt (Thunder’s Mouth Press, 2009).
  3. John Lydon, Rotten: No Irish, No Blacks, No Dogs (Picador, 1994) – auto‐biografia di Johnny Rotten.
  4. Vivienne Westwood & Ian Kelly, Vivienne Westwood: Power and Glory (Frances Lincoln, 2011) – per il ruolo della boutique “SEX” e dell’estetica punk.
  5. Julien Temple, The Great Rock ‘n’ Roll Swindle (documentario, 1980).
  6. Jon Savage, Retromania: Pop Culture’s Addiction to Its Own Past (Faber & Faber, 2011) – riflessioni critiche sulla nostalgia punk.

Conclusione

L’avventura dei Sex Pistols – un concentrato di provocazioni, scandali, accordi sgraziati e dichiarazioni incendiarie – è destinata a restare scolpita nella storia della musica come esempio lampante di come una band possa alterare le regole del gioco con poche canzoni ma un’enorme quantità di attitudine e coraggio. A posteriori, quel che colpisce è la rapidità con cui una formazione squinternata di quattro giovani incazzati abbia fatto crollare le certezze musicali della nazione, sfidando potentati economici, reazioni istituzionali e convenzioni sociali, spingendo ogni generazione successiva a non dare mai per scontato che il rock sia un gioco fine a se stesso, ma un’arma di critica politica e di affermazione identitaria. Alla luce di questo, i Sex Pistols non furono mai soltanto una band: furono un manifesto sonoro, una maschera di fango e sangue che parlava per tutti coloro che non avevano più voce. E, forse, è proprio questo che rende la loro eredità immortale: una lezione di ribellione che non si sente legata a un tempo preciso, ma che echeggia in ogni giovane che, per la prima volta, accende un amplificatore e si chiede “perché no?”.

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