Nati nel cuore della rivoluzione culturale degli anni Sessanta, The Doors non furono solo una rock band. Furono un’esplosione di poesia, musica, psichedelia e ribellione. Fondati a Los Angeles nel 1965, i Doors incarnarono l’oscuro romanticismo dell’era hippie, distinguendosi per uno stile musicale unico, liriche visionarie e un carisma scenico magnetico, guidato dall’enigmatico Jim Morrison. A oltre mezzo secolo dalla loro fondazione, l’influenza dei Doors continua a vivere, testimoniando l’impatto indelebile che hanno avuto sulla musica e sulla cultura popolare.
Gli esordi: la nascita di una leggenda
L’incontro fatale
Tutto ebbe inizio a Los Angeles, nell’estate del 1965, quando Jim Morrison, un giovane studente di cinema appassionato di poesia, incontrò il tastierista Ray Manzarek sulla spiaggia di Venice. Entrambi frequentavano l’UCLA. Morrison confidò a Manzarek di scrivere poesie che potevano diventare canzoni. Quando gliene cantò una — “Moonlight Drive” — Manzarek rimase folgorato. Mancavano solo altri due elementi: il chitarrista Robby Krieger, con un background flamenco e blues, e il batterista John Densmore, proveniente dal jazz.
Un nome, mille significati
Il nome della band, “The Doors”, fu ispirato dal libro The Doors of Perception di Aldous Huxley, a sua volta basato su una frase del poeta William Blake: “If the doors of perception were cleansed everything would appear to man as it is, infinite.” Un richiamo alla visione, all’oltre, all’apertura della mente. Un manifesto psichedelico, filosofico, esistenziale.
Il sound unico dei Doors
Niente basso, solo organo
Una delle caratteristiche più distintive dei Doors era l’assenza di un bassista fisso. Ray Manzarek suonava le linee di basso con la mano sinistra su una tastiera Fender Rhodes, mentre con la destra suonava melodie e accordi all’organo Vox Continental. Questo contribuì a creare un sound ipnotico, onirico, che fondeva rock, blues, jazz, flamenco, musica classica e psichedelia.
Voce e poesia
Jim Morrison non era solo un cantante. Era un poeta maledetto che recitava i suoi versi come se stesse invocando gli spiriti. La sua voce era profonda, suadente, profetica. Le sue performance dal vivo erano rituali teatrali, spesso imprevedibili, segnate da improvvisazione, erotismo, provocazione.
L’album di debutto: “The Doors” (1967)
Nel gennaio 1967 uscì l’album di debutto, The Doors. Un fulmine a ciel sereno nella scena musicale americana. L’album includeva brani diventati leggendari:
- Break on Through (To the Other Side): la dichiarazione d’intenti della band, un invito a oltrepassare i limiti della percezione.
- Light My Fire: un capolavoro psichedelico, dominato dall’organo di Manzarek e dalla chitarra lirica di Krieger. Divenne un successo radiofonico e portò la band alla celebrità.
- The End: un’odissea epica di oltre 11 minuti, dal sapore teatrale e apocalittico, che toccava temi come la morte, l’incesto, la liberazione.
L’album ottenne immediatamente un grande successo, entrando nella storia del rock.
Psichedelia, poesia e rivoluzione: gli anni d’oro
Strange Days (1967)
Pubblicato pochi mesi dopo il debutto, Strange Days continuava il viaggio psichedelico dei Doors. Brani come People Are Strange e When the Music’s Over rivelano un mondo alienante, in cui la musica diventa l’unica via di salvezza.
Waiting for the Sun (1968)
Il terzo album della band segnò una svolta: un suono più accessibile, senza rinunciare alla profondità lirica. Include Hello, I Love You, che scalò le classifiche, e l’intensa Five to One, che divenne una delle canzoni più amate nei concerti dal vivo.
The Soft Parade (1969)
Un disco controverso. I Doors sperimentarono arrangiamenti orchestrali, fiati, archi. Alcuni fan furono delusi, ma canzoni come Touch Me dimostrarono la versatilità della band. La personalità di Morrison cominciava a mostrarsi sempre più instabile, segnata dall’abuso di alcol e sostanze.
Il lato oscuro di Jim Morrison
Il Re Lucertola
Jim Morrison si autodefiniva “The Lizard King”, figura mitica e simbolica. Era attratto dagli archetipi sciamanici, dai rituali pagani, dal mito della morte e della rinascita. Sul palco si trasformava in una divinità dionisiaca, guidando il pubblico in una sorta di trance collettiva.
Provocazioni e scandali
Le performance di Morrison furono spesso segnate da scandali. A volte si spogliava sul palco, urlava versi improvvisati, insultava il pubblico o si accasciava ubriaco. Il culmine fu il concerto di Miami nel 1969, quando fu accusato di atti osceni in luogo pubblico. Il processo durò anni e minò la reputazione della band.
Morrison Hotel e L.A. Woman: il ritorno alle radici
Morrison Hotel (1970)
Dopo la delusione di The Soft Parade, i Doors tornarono al rock più puro e viscerale. Morrison Hotel è un album energico, sporco, bluesy. Brani come Roadhouse Blues e Peace Frog mostrarono una band ancora vitale, con un Morrison più maturo (ma sempre selvaggio).
L.A. Woman (1971)
Registrato quasi in diretta, con Morrison barbone e ubriaco, L.A. Woman è il testamento artistico dei Doors. Contiene capolavori come:
- Riders on the Storm: con la sua atmosfera piovosa e inquietante, è una delle canzoni più iconiche della band.
- L.A. Woman: un inno alla città degli angeli, vissuta come un inferno urbano.
- The Changeling e Love Her Madly: esempi di grande equilibrio tra rock e introspezione.
La morte di Jim Morrison
Il 3 luglio 1971, Jim Morrison fu trovato morto nella vasca da bagno del suo appartamento a Parigi, all’età di 27 anni. Le cause ufficiali furono arresto cardiaco, ma non fu mai fatta un’autopsia. Le teorie sulla sua morte si moltiplicarono: overdose? Suicidio? Omicidio? Fuga?
Con la morte di Morrison, finì un’epoca. La band tentò di continuare con Krieger, Manzarek e Densmore alla voce, ma senza il magnetismo del “Re Lucertola”, il progetto perse slancio.
L’eredità dei Doors
Un culto che non si è mai spento
The Doors non furono mai una semplice rock band. Furono un esperimento artistico totale. La loro musica non invecchia perché tocca temi universali: la morte, la libertà, l’inconscio, il desiderio. Le generazioni continuano a riscoprirli grazie a dischi, documentari, film (come The Doors di Oliver Stone) e biografie.
Un’influenza duratura
La loro eredità si estende ben oltre il rock psichedelico. Hanno influenzato il punk, il goth, l’industrial. Artisti come Iggy Pop, Patti Smith, Nick Cave, The Cult, Joy Division, Echo & the Bunnymen, Marilyn Manson e persino i Radiohead hanno espresso ammirazione per la loro estetica oscura e teatrale.
Discografia essenziale
Ecco una sintesi dei dischi principali della band:
- The Doors (1967)
- Strange Days (1967)
- Waiting for the Sun (1968)
- The Soft Parade (1969)
- Morrison Hotel (1970)
- L.A. Woman (1971)
- An American Prayer (1978) – postumo, con poesie di Morrison e musiche originali della band
Curiosità e aneddoti
- Il Club dei 27: Jim Morrison è uno dei membri più noti del famigerato “Club dei 27”, insieme a Jimi Hendrix, Janis Joplin, Kurt Cobain e Amy Winehouse.
- La tomba di Morrison al cimitero Père-Lachaise di Parigi è uno dei luoghi più visitati della città.
- Censura televisiva: nel 1967, durante l’apparizione all’“Ed Sullivan Show”, i Doors vennero censurati per la frase “Girl, we couldn’t get much higher”. Morrison la cantò lo stesso, e il gruppo fu bandito a vita dallo show.
- Simbolismo e filosofia: Morrison si ispirava a Nietzsche, Rimbaud, Blake, Artaud e alla mitologia greca, inserendo riferimenti filosofici e letterari nei testi delle sue canzoni.
Conclusione
I Doors rappresentano un unicum nella storia della musica rock. In appena sei anni, hanno rivoluzionato l’idea stessa di rock band, trasformando concerti in riti, canzoni in poesie, dischi in viaggi interiori. L’enigma di Jim Morrison, il talento di Manzarek, Krieger e Densmore, la carica visionaria dei loro testi: tutto questo ha reso i Doors eterni.
Nonostante il tempo, nonostante i cambiamenti, c’è sempre una porta pronta ad aprirsi. Basta avere il coraggio di attraversarla.